ALBERTO MAGRI (Fauglia, 1880 – Barga, 1939), è il pittore delle
origini che indagò il presente attraverso una sintesi straordinaria di
forme e colori che arrivano dalla tradizione dei Musei, dalla
tradizione dei Maestri toscani, ma anche da Cezanne, Seurat,
Munch e Morandi.
Alberto Magri nacque a Fauglia (Pisa), il 4 giugno del 1880.
I genitori, Giovanni e Emma Salvi, appartenevano entrambi a
famiglie borghesi di Barga, in Valle del Serchio in provincia di Lucca
in Toscana, e la famiglia Magri si era trasferita a Fauglia per
seguire il capofamiglia che vi ricopriva l'incarico di Pretore. D'estate
però rientravano sempre a Barga, meravigliosa e antica cittadina
sulle rive del fiume Serchio in provincia di Lucca.
Gli studi di Alberto Magri non furono molto brillanti, al contrario dei
due fratelli che eccelsero negli studi scientifici. Nel 1899 si iscrisse
dapprima alla facoltà di Scienze Naturali e quindi a quella di
Chimica e Farmacia, ma nel 1902 aveva sostenuto soltanto quattro
esami. Alberto Magrì però dimostrava già un grande talento per le
arti figurative, tanto che le sue prime caricature apparvero su
giornali goliardici come
«Il Gobbo di Picche» e
«L'abbozzo»,
quando decise di andare alla scoperta di Parigi, in quegli anni
capitale delle avanguardie nell’arte e nella cultura. Alberto Magri fu
così uno dei primi a compire il pellegrinaggio alla “ville lumière”
dove rimase dal 1902 al 1903. Rientrato in Italia, nel dicembre 1907
si laureò in Chimica e Farmacia e si trasferì a Firenze dove iniziò
l'attività di farmacista.
Dell’esperienza parigina rimangono esempi consistenti nei giornali
satirici conservati oggi nella Casa Museo di Barga (Lucca). Anche
la sua pittura ne rimase influenzata come si evince ammirando
“Il
ferimento della bambina” dagli evidenti tratti espressionistici a
seguito dall’esposizione del 1913 al
“Salon des Indépendants” in cui
aveva visto esposto
Edvard Munch.
Rimane a Firenze fino al 1910 dove conosce Lorenzo Viani,
Domenico Rambelli, Moses Levy ed entra in contatto con il “gruppo
apuano”. È Barga comunque che è al centro della vita personale e
artistica di Alberto Magri, luogo cruciale per l’evoluzione del
sentimento pittorico e di indagine del proprio tempo. Cittadina di
grande importanza storica, immersa in una natura incontaminata e
ricca di monumenti e dall’intensa tradizione culturale, fu eletta
anche dal grande poeta Giovanni Pascoli come luogo dove vivere,
“nella valle del bello e del buono” come lui stesso scrive. A Barga,
Magri incontra e frequenta
Pascoli e il mondo che ruota attorno al
più grande poeta italiano e dal quale assorbe, con tutte le dovute
sfumature, l’intensità della visione dell’epoca filtrata anche
attraverso i famosi componimenti pascoliani. I legami con i fratelli
Pascoli furono favoriti anche dalla conoscenza e dalla
frequentazione delle famiglie Magri e Salvi e dalla presenza a
Barga anche della sorella del poeta, Maria Pascoli, chiamata Mariù.
"La vendemmia", "La casa colonica", "Il bucato", sono i quadri con i
quali inaugurò il ciclo dedicato alla vita dei campi. Anche l'ingresso
di Alberto Magri nel panorama artistico nazionale fu legato al
mondo pascoliano.
La prima mostra personale fu realizzata a Firenze presso il Lyceum:
era il 2 giugno 1914. A Giosuè Borsi, giovane direttore del «Nuovo
Giornale» fu affidato il compito della presentazione e fu un
successo, salutata con entusiasmo anche da Ugo Ojetti. La tappa
successiva fu Milano e scomparso prematuramente l'amico Borsi,
fu ancora un amico di Giovanni Pascoli a preparare la strada: il
giornalista del «Corriere della Sera» Augusto Guido Bianchi. La
mostra organizzata alla Famiglia Artistica fu recensita da Umberto
Boccioni e da Raffaello Giolli. La prima guerra mondiale era iniziata
da ormai tre anni e nel 1919, dopo la disfatta di Caporetto, anche
Magri fu arruolato. Terminata la guerra prima si trasferì a Intra, sul
Lago Maggiore, come insegnante di Scienze all'Istituto
Commerciale, ma con l'estate del 1919 rientrò definitivamente a
Barga. Prima insegnante elementare, poi farmacista, infine dal
1925 direttore dell'agenzia del Monte dei Paschi.
Il 17 gennaio 1903 Alberto Magri, Alfredo Caproni e Leonardo
Bistolfi si incontrarono a Castelvecchio a Casa Pascoli. Lo sculture
Bistolfi, incaricato da Maria Pascoli del rifacimento della cappella
dove riposava il poeta, fu pieno di parole di incoraggiamento per il
giovane pittore e successivamente si impegnò perché le opere di
Magri fossero esposte alla Biennale di Venezia, ma ciò non andò in
porto Nel 1922 si era sposato con Elba Carradini, anche lei
appartenente ad una delle famiglie più importanti del paese, e nel
1924 era nato il figlio Giovanni. Magri fu riluttante alle sollecitazioni
esterne tanto che non partecipò alla prima "Mostra del Novecento
italiano", inaugurata da Mussolini a Milano nel 1926, ma anche la
presenza in ambito locale fu limitata. Tuttavia nel 1927 partecipò
alla Biennale di Venezia con il dittico "La sementa nella valle del
Serchio", nel 1929 alla seconda "Mostra del Novecento" con il
Crepuscolo invernale, a Viareggio nel 1931 presentò La fonte di
Castelvecchio e nel 1937 con i nuovi tre capitoli del 'Diario del
cantastorie' (Il caffè del Paolo, Osteria di campagna e Sul fosso)
mentre nel 1934 aveva vinto il Premio Caselli a Lucca con il
Cantastorie in piazza Garibaldi. Proprio di quell'anno vi fu un altro
intervento di Raffaello Giolli che continuava a sottolineare
l'importanza dell'opera pittorica del Magri. Poteva essere
un'occasione per proporre finalmente una mostra antologica della
produzione del pittore barghigiano e la sede poteva essere Firenze.
Purtroppo non lo fu, ma Magri continuò a lavorare nonostante una
grave malattia ai polmoni. L'ultimo quadro, "Il lavoro dei campi. La
vangatura", dipinto nei pochi momenti in cui si alzava dal letto, è un
inno alla vita, alla primavera dei sogni e della poesia, una
consolazione e un messaggio per gli uomini che erano in procinto di
vivere gli orrori della guerra imminente. Era il 1939.
Approfondimenti critici di Alessandro Parrochi e Tommaso Paloscia
“Un pozzo di riservatezza contemplativa in cui lentamente
cristallizza la forma vera” secondo le parole del critico Alessandro
Parronchi, che continua: “Una lunga osservazione che ha tutto il
carattere di una meditazione amorosa in uno spazio senza tempo.
Una mano moderna, una mano che trema la sua, logorata dal
dubbio ma conscia che lei sola può dar vita a ricreare il reale
nell’unica forma possibile e consentita dal cuore e
dall’immaginazione. Una mano, soprattutto, a cui il cervello non
sovrappone alcuna intenzione. E il virgulto di vite s’intreccia al gelso
un po’ diversamente in ogni opera”.
Il Magri non è un ingenuo, né vero né finto. Da quando ha
riscoperto i nostri pittori del Duecento, è un allievo della tradizione.
Riscopre il Museo che è la vera sostanziale scoperta del
Novecento. Nel 1916 espone a Milano alla “Famiglia Artistica” per
la quale Lorenzo Viani realizzerà i due grandi pannelli introduttivi,
oggi in una collezione privata e dove impressionò e commosse
Umberto Boccioni con i dipinti del ciclo “la Vita dei campi”.
Nel 1928 partecipa alla Biennale di Venezia con “La sementa in
Valle del Serchio” e l’anno successivo, accogliendo una pressante
richiesta da parte di Margherita Sarfatti, partecipa alla “Rassegna
del Novecento” con uno dei due “Crepuscoli”.
Nel 1934 Raffaello Giolli scrive: “Una storia del Novecento in Italia,
dalla liberazione dell’arte nella nostra generazione, non può essere
fatta senza Alberto Magri”. E su tutti, il pittore Lorenzo Viani, il quale
lo considerava il Maestro, e già dal 1914 quando lo appellò “il
pittore dell’Apua”.
Vince il
“Premio Caselli” a Lucca e partecipa ad altre mostre nella
provincia tra Viareggio e Barga dove muore il 25 febbraio del 1939.
Il critico d’arte che colse la grandezza di Alberto Magri fu
Alessandro Parronchi quando curò nel 1951 “La stozzina”, una
retrospettiva che ebbe grande successo a Firenze.
Dopo Parronchi si deve a Carlo Ludovico Ragghianti l’inserimento
di Magri nella rassegna “L’Arte italiana 1915-1935” del 1967 e
successivamente a Volpaia nel 1982, nel cuore della Toscana più
vera in provincia di Siena, dove Luciano Pistoi organizzò
un’esposizione di grande impronta. Qui Pistoi aprì un fronte
espositivo in Toscana, presso il Castello di Volpaia, proprietà
vinicola di Raffaello Stianti, in collaborazione con artisti,
collezionisti, galleristi e critici, che sentiva vicini alla propria
sensibilità. Pistoi ideò e realizzò una rassegna tematica a cadenza
annuale, dove sperimentò la collocazione di opere contemporanee
in spazi connotati storicamente e non convenzionali. L’attenzione al
nuovo o a ciò che di nuovo si può riconoscere nel passato ispirò
l’impegno di Pistoi a Volpaia, dove accostò sistematicamente
maestri storici e giovani emergenti sostenuti da lui o da una nuova
generazione di critici italiani, che enumerava, tra gli altri, Renato
Barilli, Achille Bonito Oliva, Maurizio Calvesi, Carolyn Christov-
Bakargiev, Laura Cherubini, Giacinto Di Pietrantonio, Mauro
Pratesi, Pier Carlo Santini, Tommaso Trini, Angela Vettese, con i
quali sperimentò progetti improntati a un’idea di trasversalità e
nomadismo culturale. Le prime due edizioni di Volpaia ebbero
carattere monografico e si svolsero unicamente nella Commenda
(Ardengo Soffici: lavori per affresco, 1982; Magnelli in Toscana,
1983), ma già l’edizione del 1984 comprendeva, oltre alla personale
di Alberto Magri, una collettiva presentata da Vanni Bramanti, «Le
città del mondo», e una mostra dedicata agli «Ultimi Afro» curata da
Pistoi e Paolo Sprovieri.
In seguito, Renato Barilli scrive di Alberto Magri su La Stampa e ne
inserisce le opere nella rassegna sull’espressionismo italiano a
Torino nel 1990.
In quell’anno, a Lucca, nella mostra “Fra il Tirreno e le Apuane” gli
fu consacrato il ruolo fondamentale di “Maestro degli Apuani” in un
contesto decisamente nutrito di straordinarie testimonianze
storiche, artistiche, culturali, politiche e sociali del primo Novecento
in cui si stagliano i nomi di Plinio Nomellini, Lorenzo Viani,
Ceccardo Roccatagliata Ceccardi, Luigi Salvatori, Enrico Pea,
Giuseppe Viner, Giuseppe Ungaretti, Moses Levy, Spartaco Carlini,
oltre al passaggio di Gabriele d’Annunzio, la presenza di Giacomo
Puccini a Torre del Lago e di Giovanni Pascoli a Barga. In questo
gruppo, forte era il sentimento di un ritrovato Eden, insieme
nostalgia e senso del futuro, presagio di un cambiamento in atto
dovuto alle istanze di guerra che vissero preparando e attendendo il
“Liberato Mondo”, voci forti che dettero vita ad una stagione
straordinaria della civiltà apuana. Questo sentimento d’ansia del
futuro appartiene alla crisi della coscienza europea che intercetta il
disagio delle nuove generazioni con la modernità vista come fine,
distruzione e barbarie. Ma ciò non arrestò l’impeto propulsivo di
queste menti così feconde e innovative tanto che il seme del futuro
verrà ben custodito.
E come Lorenzo Viani ci ha tramandato, l’artista barghigiano fuggì
da Parigi scrivendo: “Abbasso Parigi. Viva Barga”, il borgo in
provincia di Lucca definito dal poeta Giovanni Pascoli “la valle del
bello e del buono”, dove volle rifugiarsi.
Alberto Magri partecipò attivamente a questa inquietudine e da
Barga continuò al lavorare per il “ritorno all’Eden” fino alla
conclusione dei suoi giorni, lasciando un’ultima straordinaria opera
come segnale ineluttabile per un futuro positivo. Si tratta del 1939,
Magri dipinge uomini e donne che aprono la terra per prepararla ad
una nuova semina, si tratta del magnifico “Il lavoro nei campi. La
vangatura”, oggi conservato in una collezione privata.
Dopo la grande apertura in clima internazionale consumata a Parigi
quand’era giovane e dove aveva vissuto eseguendo illustrazioni per
riviste e giornali anche satirici, Alberto Magri era tornato in Toscana
nel 1908 per riprendere lo studio della pittura <<dugentesca>>
toscana dalla quale era naturalmente attratto. E in questo studio si
applica senza aderire a correnti e conservando una notevole
indipendenza fra i rovelli estetici del tempo. In effetti le architetture
dei suoi trittici dedicati alla vita campestre richiamano alla mente gli
studi condotti amorevolmente sulle immagini dipinte nei primissimi
secoli del nuovo millennio; la descrizione dei merletti del Bucato
stimolano a penetrare un mondo ricostruito sentimentalmente per
memoria, perciò abbracciando una realtà osservata e vissuta.
Partecipò a varie mostre a Firenze e a Milano e alla Biennale di
Venezia del 1928.
Nel 1951 alla Strozzina di Palazzo Strozzi, a Firenze, fu tenuta una
rassegna dell’opera del pittore, con cinquanta dipinti e diversi
disegni. Nel 1967 nella irripetibile iniziativa realizzata da Carlo
Ludovico Ragghianti sull’arte moderna in Italia dal 1915 al 1935
vennero esposti i trittici dedicati alla vita campestre, i quadri
raffiguranti il Duomo di Milano e la stazione di Porta Nuova a
Torino.
Mostre ed esposizioni recenti
Il Comune di Barga nel 1980 gli dedicò una retrospettiva nel
Palazzo Pancrazi. Nel 1984 nel Castello di Volpaia (Radda in
Chianti) nella quattrocentesca <<commenda>> è stata tenuta per
iniziativa di Luciano Pistoia una retrospettiva con dodici dipinti e
sette disegni. Ottimamente rappresentata nella mostra <<Dal
Tirreno alle Apuane>> (esposta dapprima nel Centro Ragghianti a
Lucca e successivamente nel Palazzo Medici-Riccardi di Firenze) la
pittura di Magri ritorna sempre più necessaria, ed è nel 1996 che la
Fondazione Ricci di Barga gli dedica una importantissima mostra
dal titolo <<Alberto Magri un pittore del ‘900>> curata da
Gianfranco Bruno e dal prof. Umberto Sereni.
Nel 2015 a Lucca, nella sede espositiva della fondazione Banca del
Monte, l’ultimo grande omaggio ad Alberto Magri nell’ambito della
mostra <<Dipingere l’incantesimo>> a cura del prof. Umberto
Sereni e di Maria Stuarda Varetti, i quali oltre ai tre dipinti
selezionati in mostra, scelsero come immagine generale
dell’esposizione il dipinto “Le Alpi Apuane da Barga” del 1913, oggi
conservato in una collezione privata.